Parte terza: dalla tarda antichità all’epoca moderna  

 

Lo scavo a fianco della parrocchiale

Massimo Lavarone

Le premesse storiche

A seguito di un preciso progetto di indagine archeologica concordato tra Amministrazione Comunale di Codroipo, Civici Musei di Udine e Società Friulana di Archeologia nel corso del 1995 (tra metà giugno e metà luglio) è stata condotta una campagna di scavi nell’ambito del centro urbano di Codroipo (1).

L’intento della ricerca era quello di scoprire eventuali tracce antiche all’interno dell’area della cosiddetta "cortina" di Codroipo, citata per la prima volta in un documento datato 28 aprile 1343 e stilato in Udine nel castello patriarcale (2).

Con tale documento il Patriarca Bertrando (1334-1350) dava in feudo d’abitanza al nobile Federico di Savorgnan cortinam de Quadrupio con garitto e tutti i diritti e le pertinenze connesse e con piena facoltà di erigervi un castello, torri, case e fortilizi necessari pro defensione honorum Aquilejensis Ecclesiae, et offensione inimicorum ejusdem. Con tale atto il Patriarca Bertrando, proseguendo nella sua politica di consolidamento dello stato friulano, intendeva rafforzare le difese militari del Codroipese contro eventuali pericoli esterni.

Bertrando voleva prevenire, in particolare, le mire espansionistiche dei Conti di Gorizia, secolari nemici dello stato patriarchino, che, in base a non chiari diritti feudali acquisiti ab antiquo, volevano esercitare la loro signoria anche sul territorio codroipese. A sostegno dei suoi diritti il conte Alberto IV nell’anno seguente (1344) tentò di aizzare la stessa popolazione di Codroipo contro Federico e la sua gente per impedire il completamento della costruzione delle opere fortificate. Pare, dalla scarna documentazione esistente, che le manovre dei goriziani non portarono alcun risultato e la fortificazione della cortina fu compiuta negli anni seguenti (3).

Ma il ricordo di quei avvenimenti e il documento del 1343 sono stati altresì elementi preziosi per comprendere meglio la topografia antica del centro storico di Codroipo e per impostare le nostre ricerche archeologiche.

L’indicazione più significativa è quella dell’esistenza di una "cortina", ossia di un centro abitato fortificato, munito di vallo e di fossato, sicuramente precedente al XII sec.

Secondo altri studiosi (4) apprendiamo che la costruzione della cortina codroipese sembra collegarsi con gli infausti avvenimenti delle incursioni ungare (X sec.) e la successiva opera di ricostruzione e di ripopolamento da parte di genti di etnia slava colà inviate dai Patriarchi. Anche altri studiosi contemporanei (5) collocano la costruzione della cortina nell’ambito del X sec. portando come prova la stessa tipologia della cortina, accentrata sulla chiesa plebanale, centro vitale dell’antico nucleo abitato.

Codroipo e la sua cortina furono in seguito saccheggiati e la stessa chiesa fu incendiata nel 1412, quando le milizie veneziane al comando di Pandolfo Malatesta si scontrarono il 4 dicembre contro le truppe ungare al soldo di Ludovico di Teck, ultimo Patriarca aquileiese.

Fin qui le notizie storiche sulla cui base si sono mosse le ricerche archeologiche.

Lo scavo

La Cortina

L’area interessata dai sondaggi è quella adiacente all’attuale chiesa parrocchiale dal lato orientale, adibita ora a parcheggio (part. catastale F. 54, nn. 191, 190, 186, 80 e lettera A).

Tramite alcune trincee esplorative aperte a nord (trincea 1: lungh. m 15,60; largh. m 8/12 e trincea 2: lungh. m 9,40, largh. m 7,50) si è appurata effettivamente l’esistenza (sotto un livello di circa m 1,20 di macerie moderne) di un grande fossato profondo circa 5 metri e largo tra gli 8 e i 10 metri, completamente riempito da una strato di limo compatto e omogeneo (di colore verde-grigiastro), corrispondente, grosso modo, alle descrizioni storiche e alle testimonianze, anche recenti, pervenuteci.

Purtroppo al suo interno non si rinvenne alcun deposito di materiale archeologico, per cui è ipotizzabile una sua ripulitura, in epoca imprecisata, ma probabilmente moderna (almeno nei tratti da noi riscoperti).

Inoltre lungo il bordo interno del fossato non si è rinvenuta alcuna traccia di apprestamenti in muratura, in questo contrastando con quanto riferiscono i documenti sei-settecenteschi che parlano in maniera esplicita di un muro di cinta.

Forse l’apparente incongruenza può essere appianata o quantomeno discussa da tutta una serie di indizi e osservazioni che proprio durante le giornate di scavo ci sono state suggerite da appassionati locali. Tutte concordano nell’attestare, durante vari lavori edilizi effettuati nell’area fra gli anni cinquanta e sessanta di questo secolo, la presenza di numerosi pali di legno, profondamente incassati, a distanze regolari entro il limo del fondo. A sostegno ulteriore di queste testimonianze è stato possibile visionare una videocassetta amatoriale realizzata dal sig. Gino Sambucco in occasione dei lavori per la costruzione della nuova sede della Banca FriulAdria (poche decine di metri più a est della nostra area di scavo) che in maniera inequivocabile mostrava alcuni grossi pali infissi nel limo.

Da tutto ciò sembra emergere che il fossato fosse contornato al suo interno (almeno in una prima e più antica fase) da una palizzata o comunque da una intelaiatura lignea, eventualmente rinforzata da vimini, a sostegno di un rialzo terroso (spalto) come era abitudine fino all’inoltrato XII sec. nell’Italia settentrionale (6).

Di conseguenza è chiaro che si continuò ad utilizzare il termine "cortina" per indicare sì delle aree topograficamente coincidenti, ma con significati e realtà diverse e solo all’ultima fase della "cortina", quella registrata nella cartografia settecentesca, può essere attribuito il muro di cinta che ricalcava il percorso dell’antica cortina medievale. A riconferma di questa ipotesi vorrei far notare che gli attuali confini fra le particelle catastali 80, 190, 191 e la 186 riproducono nella cartografia moderna l’andamento e la curvatura del fossato antico. Inoltre da quanto è emerso durante l’apertura delle trincee 1 e 2 e da quanto è stato raccolto attraverso alcune testimonianze orali forse bisognerà rivedere l’opinione generale che ipotizzava un andamento del fossato perfettamente circolare, ma piuttosto riferirsi ad una forma più irregolare (ad esempio un quadrilatero con gli angoli smussati).

L’abitato

Dopo queste prime osservazioni la ricerca si è spostata nella parte meridionale dell’area da ispezionare, nell’aspettativa di individuare le tracce dell’abitato medievale.

Una prima trincea (trincea 3: lungh. m 12, largh. m. 2) con orientamento est-ovest, aperta dall’angolo del muro perimetrale delle ex carceri verso la chiesa parrocchiale, a cui si è aggiunta una seconda trincea (trincea 4: lungh. m 11,20, largh. m 1) perpendicolare verso sud, ha permesso di constatare che fino a una profondità di m 1,50 vi era un riempimento di macerie e materiale incoerente (forse quanto restava della demolizione della casa-canonica abbattuta nel 1969), a cui seguiva (fino a m 2,20) un livello di terriccio misto a ciottoli medio-piccoli senza presenze antropiche o materiali di alcun genere. Infine a circa un metro in direzione sud apparve la prima sepoltura pertinente al cimitero parrocchiale utilizzato fino all’epoca napoleonica.

Ci si spostò quindi nella parte più centrale dell’area aprendo un’ulteriore trincea (trincea 5) che in seguito a vari allargamenti ha interessato una superficie di circa 200 mq.

Al di sotto di una cinquantina di cm di terreno fortemente compattato e costituito da riempimenti e livellamenti effettuati (a detta di testimoni locali) nel secondo dopoguerra e da cui provengono alcuni frammenti di ceramiche Galvani, Rivarotta e Richard (XIX sec.) (vedi catalogo a cura di G. Cassani e G. Nonini), si sono rinvenute parti di tre muretti in sassi, pertinenti forse a due costruzioni contigue.

In particolare si trattava di residui di fondazioni di strutture in sassi poverissime (le tracce di malta sono molto esigue) così suddivise: US 2 (lungh. m 2, largh. cm 40) orientata est-ovest e US 4 (lungh. m 1,40, largh. cm 40) perpendicolare a US 2; US 3 (lungh. cm 80, largh. cm 50) orientato nord-sud e US 6 (lungh. cm 80, largh. cm 50) (unico lacerto legato abbondantemente da malta) orientato est-ovest e forse collegabile al precedente.

Tra queste strutture si è messo in luce un livello omogeneo (US 5) composto da ciottoli, facenti sicuramente parte in origine degli alzati delle stesse, disposti come se qualcuno avesse voluto regolarizzare il terreno. Non si tratta in effetti di una superficie dovuta ad un cedimento o ad un crollo, ma ad un livellamento generalizzato dello strato dovuto a cause imprecisabili.

Tra i ciottoli di questo strato sono stati recuperati parecchi frammenti di forme in ceramica grezza e in ceramica invetriata databile tra XIII e XVI secolo (vedi catalogo a cura di G. Cassani) ed alcuni frammenti ossei animali.

La pieve

A completamento dell’indagine archeologica svolta nell’area a fianco della parrocchiale si è voluto infine aprire un’ultima trincea (trincea 6: lungh. m 5, largh. m 1,50) lungo il lato orientale dell’attuale edificio religioso (edificato tra il 1731 e il 1743). Una consolidata tradizione locale faceva risalire la costruzione della prima chiesa codroipese (orientata est-ovest) ai primi periodi cristiani sovrapponendosi ad anteriori edifici romani. Anche in recenti lavori edilizi (tra il 1957 e il 1970) eseguiti all’interno della chiesa si citano rinvenimenti di lacerti pavimentali più antichi e in uno scavo eseguito all’esterno della chiesa si menziona inoltre l’esistenza di un "grosso muro romano di cm 95 di larghezza e profondo oltre un metro" (7) su cui si sarebbe appoggiata la pieve più antica.

Proprio per ricercare questo "muro romano" si è quindi aperta la trincea 6. Oltre a riconoscere lo scasso eseguito nel 1970 a sua volta intaccato da un ulteriore scavo eseguito in tempi ancora più recenti, si sono riconosciute per lo meno due fasi costruttive con orientamento est-ovest, inframezzate da livelli pavimentali in cocciopesto ed entrambe costituite da una fondazione di sassi annegati in uno spesso strato di malta. Al loro interno inglobavano anche alcuni frammenti di laterizi forse di epoca romana o tardoantica, materiale che era stato evidentemente riutilizzato a scopi edilizi. Quanto è emerso dalla trincea 6 sembra coincidere, grosso modo, con quanto è stato osservato durante i lavori edilizi effettuati all’interno dell’attuale edificio religioso e meticolosamente riferiti negli scritti dello Zoratti, ma ciò che è emerso dall’evidenza archeologica non combacia perfettamente con quanto ritenuto valido nell’opinione locale. Innanzitutto se si tratta dello stesso muro visto nel 1970, non è certamente una struttura "romana", ma di epoca ben posteriore (genericamente diremmo medievale) (8), quindi non dovrebbe trattarsi di ambienti riferibili alla prima pieve codroipese (se confermiamo la fondazione paleocristiana) andata distrutta dalle milizie veneziane nel 1412. Al di sopra di queste strutture murarie fu recuperata l’unica ciotola ricostruibile in ceramica graffita, datata dalla Cassani al primo XVI sec. (vedi catalogo) che confermerebbe l’abbandono o perlomeno la dismissione di queste strutture nel primo ‘500.

Purtroppo le nostre considerazioni si devono fermare qui, in quanto l’indagine archeologica nell’area a fianco della parrocchiale furono sospese per l’apertura del cantiere presso il parcheggio Marconi che, come noto, ha fornito materiale e informazioni per aprire una nuova pagina sulla storia più antica di Codroipo.