ROTTE E COMMERCI NELL’ADRIATICO IN EPOCA ROMANA  

Per quanto una lunga tradizione, corroborata da un gran numero di fonti letterarie, presenti l’Adriatico come importuoso e infido, specialmente nella stagione invernale (quando soffia il pericoloso vento da nord-est, oggi "Bora" anticamente Borea) la documentazione archeologica ci mostra come in effetti lungo le rotte costiere - e anche in alcuni attraversamenti più facili o particolarmente importanti - i commerci marittimi furono sempre praticati. La stessa lunghezza dell’Adriatico fece sì, come si ricava anche dall’esame delle fonti antiche, che la parte centrosettentrionale rimanesse un po’ discosta dalle grandi correnti del traffico mediterraneo - pur costituendo un importante punto di saldatura tra i collegamenti marittimi e i percorsi stradali che si inoltravano nel cuore dell’Europa- , mentre le terre poste più a meridione sono sempre state interessate dai commerci con l’Oriente e con l’area greca. E’ opinione comune tra gli studiosi che in epoca greca la rotta più importante fosse quella orientale (tra l’altro protetta da una catena di isole e tale da poter contare sull’appoggio di porti naturali e città greche, da cui si diffondevano le monete locali con le navi onerarie), con attraversamento tra Zara e Ancona, mentre la rotta occidentale si sarebbe tenuta distante alquanto dalla costa, per puntare solo ove gli approdi erano sicuri.

 

Dall’età del Bronzo al periodo ellenistico

L’ambra proveniente dalla costa del Baltico, attraverso l’Europa centrale, raggiungeva per la via adriatica le tombe micenee di Tirinto e Micene; nella prima età del Ferro ambre lavorate arrivavano a Verrucchio, presso la costa romagnola, poi scendevano verso sud fino all’attuale Basilicata. Esse si ritrovano, molto simili, nelle necropoli dalmate.

Come è ben noto i Greci risalivano fino all’emporio di Spina nel VI e nel V sec. a. C. per rifornirsi di grano e altre derrate alimentari (forse anche di minerali ferrosi) e testimonianza del loro passaggio sono gli splendidi vasi delle necropoli spinetiche. La presenza di vasi Iapigi e Peucezi nelle ricche tombe dell’età del Ferro della Dalmazia dimostra come esistesse una corrente di traffico che dal sec. VIII a. C. in poi risaliva dalla Puglia verso la Dalmazia e verso la punta dell’Istria (Nesazio). Lo stesso itinerario era seguito più tardi dai vasi apuli e in genere magnogreci che dal IV sec. come la ceramica di Gnathia raggiungevano le coste dalmate e dell’Italia settentrionale, fino ad Aquileia.

La documentazione per la rotta orientale non è sempre paragonabile ai dati noti dalla costa italiana, a motivo del maggior sviluppo costiero, della grande quantità di centri antichi, favorita anche dalla presenza di tantissime isole; essa è soprattutto resa carente delle recenti vicende politiche ed economiche che hanno molto limitato gli studi storico-archeologici e non hanno permesso agli specialisti di continuare le loro ricerche, nella costa croata come in quella albanese.

Da tempo i numismatici hanno studiato la diffusione di alcune specie monetarie, che sono state trovate sia lungo la costa dalmata sia nella penisola italiana. É ben vero che le monete possono essere rimaste in circolazione per secoli, come dimostra il rinvenimento di Lavarigo, presso Pola, in cui due tetradrammi di Atene di nuovo stile si rinvennero insieme a tre denari romani repubblicani. É tuttavia impressionante osservare come le come ad es. le monete della tirannide dionigiana (405 - 344 a. C.) si trovino non lungi da Ancona e, dall’altra parte dell’Adriatico, presso Salona (isole di Brac, Hvar e Vis) e presso Zara (isola di Vir), mentre la diffusione delle monete emesse nel II sec. a. C. dal re Ballaios (della costa dalmata) dimostrano una certa floridezza della città dominata da questo regolo e soprattutto rivelano una scia di rapporti commerciali via mare, nel quadro della romanizzazione, che interessano anche aree dell’Italia settentrionale. Anche la diffusione delle anfore vinarie greche, delie in particolare, talvolta inserite in tombe di sicura datazione, permette di individuare le principali tappe della rotta orientale nel II sec. a. C..

L’espansione romana nel periodo tardorepubblicano verso nord e verso la costa orientale dell’Adriatico

Sulla costa italiana vari oggetti accompagnano la penetrazione romana verso nord dopo la fondazione di Ariminum (268 a. C.), specialmente da Adria verso Aquileia. Da qui a partire dalla fine del II sec. a. C. si individuano i punti di approdo e di commercio dei mercanti romani, o di coloro che trasportavano merci romane diretti verso la costa istriana e dalmata. Un buon indicatore sono le anfore vinarie, specialmente per quelle del tipo Lamboglia 2 (individuate da Nino Lamboglia all’inizio degli anni Cinquanta, ma oggetto di studi sistematici, specialmente per quanto riguarda l’onomastica dei bolli, appena negli ultimi anni). Si cominciano ora a delineare le correnti di traffico che dalla Puglia e dall’area picena erano diretti a nord, specialmente verso la pianura padana, e a est, verso la Dalmazia e l’attuale Albania. Altri flussi contemporaneamente erano diretti dall’estremità settentrionale dell’Adriatico verso altre destinazioni come la zona di Cartagine (dopo la ricostruzione cesariana avviata nel 46 a. C.) e la costa spagnola, da cui provenivano argento e piombo Un collegamento importante era volto verso tutta la costa orientale adriatica, dall’Istria fino alla Dalmazia e ancora verso l’odierna Albania per proseguire in parte, come è ben documentato fino ai primi decenni del I sec. a. C., fino alle isole dell’Egeo, Delo in particolare. Tra gli oggetti che accompagnavano il vino nei trasporti marittimi si sono conservate alcune fibule che mostrano una diffusione di persone e di prodotti dall’Italia settentrionale o dal Piceno verso la costa dalmata a partire dal secondo quarto del I sec. a. C. (fibule Almgren 65) e nei decenni successivi (variante dell’Italia nordorientale del tipo Alesia, attestata ad es. ad Asseria). Sono ancora troppo scarse le pubblicazioni locali relative al contemporaneo vasellame da mensa a vernice nera per permettere considerazioni relative alla diffusione su vasta scala di questi prodotti e soprattutto ai punti di partenza delle merci. In qualche caso, soprattutto con riferimento a lucerne su alto piede, è stato possibile dimostrare il percorso da Delo alla Puglia e quindi verso l’Adriatico settentrionale.

I commerci e le rotte mercantili del primo periodo imperiale

In primo luogo ci aiutano a riconoscere le rotte di quell’epoca rinvenimenti di terra sigillata, vasellame da mensa tipico del primo periodo imperiale. L’analisi della sua diffusione si basasulla presenza, in molti esemplari, dei marchi impressi dei fabbricanti. Sono note due grandi aree di produzione, quella aretina, caratterizzata da grandi fabbriche concentrate nella zona di Arezzo e da filiali attivate successivamente nelle province, e quella genericamente "padana" con presenza di numerosi atéliers sparsi specialmente nella zona tra Rimini, Bologna, Modena, Cremona e Aquileia, con probabili concentrazioni locali, verso la costa (il che favoriva lo smercio dei prodotti), la cui articolazione tuttavia ci sfugge. Ad Aquileia sono state censite una ventina d’anni fa, in relazione ai traffici marittimi, attestazioni di 47 marchi aretini e di 137 marchi ritenuti norditalici. Qualche anno fa per il territorio di Cupra Marittima, una settantina di chilometri a sud di Ancona, sono stati editi 16 marchi aretini rispetto ai 24 norditalici accanto ad appena tre (o forse cinque) centroitalici. Invece a Pola non è stato riscontrato alcun marchio aretino e solo due norditalici. Uno di questo è AGATHO, attivo dall’età augustea all’epoca claudia, che lungo la costa italiana è presente fino a Rimini, e l’altro è LAETVS, presente solo ad Aquileia e a Pola. Nel caso della ceramica, dunque, Pola mostra di essersi approvigionata mediante due rotte diverse, una da Aquileia e l’altra da Ravenna o Rimini, in una circolazione a modesto raggio Vedremo poi come la medesima situazione possa essere verificata anche per il commercio marittimo dei laterizi.

La sigillata norditalica compare nel Quarnaro intorno al 15 a. C., al tempo della annessione del Norico all’impero romano e quando venne creato un comando militare per l’Illirico a Siscia. Nell’isola di Veglia non è registrato alcun marchio aretino, ma solo uno norditalico, probabilmente aquileiese (MELITO di età augustea compare ad Aquileia, ad Adria, sul Magdalensberg e qui). Già nel primo quarto del I sec. d. C., come dimostra la presenza del marchio FESTVS, vi era un circuito che dalla costa romagnola (villa rustica di Russi) e veneta (Polesine, Altino) comprendeva Aquileia, il Magdalensberg, Emona (= l’attuale Lubiana) e ancora il Quarnaro (Osor). Più tardi, nel secondo quarto del I sec. d. C., la circolazione si estende anche ad aree più meridionali, come la zona di Rimini (marchio AMANDVS).

L’importazione dall’area centroitalica a quella dalmata, con possibilità di attraversamenti nei tratti Pola-Ravenna o Zara-Ancona, è ben avvertibile nell’età augustea nella terra sigillata, i cui marchi sono molto abbondanti. La rotta Piceno-Zara è rivelata dal marchio DASIVS (nome apparentemente illirico), presente anche nella zona di Adria, nelle Valli Veronesi, ad Aquileia e sul Magdalensberg. La documentazione che ora è nota fa ritenere che esistessero prodotti smerciati solo lungo la rotta occidentale ( bolli THYRSVS PLAETORI o ZETVS che da Aquileia scendono fino a Cupra Marittima o COTINI che va da Altino alla stessa Cupra Marittima). Le navi portavano verso nord il vino piceno e tornavano ai luoghi di origine cariche di laterizi, prodotti nelle grandi figuline dell’Aquileiese e dell’agro di Iulia Concordia, per le grandi opere di costruzione dei municipi piceni dalla fine dell’età repubblicana. Negli interstizi potevano agevolmente essere stipate, come merce di accompagno, le terre sigillate cui si è fatto cenno. Il fenomeno non è più avvertibile in età flavia - quando le navi dall’area altoadriatica portavano i laterizi lungo la costa dalmata, come a Aenona o a Doclea, nel Montenegro, per le medesime ragioni - poiché allora era venuta meno la bollatura della terra sigillata. Uno scalo intermedio era la punta dell’Istria, Pola, ove pure arrivava da Cupra Marittima il vino palmensis e quello praetuttianus, noto dalle fonti antiche, trasportato entro le anfore del tipo Dressel 6 A che recano i bolli T.H.B. (interpretato come l’indicazione di T. Helvius Basila) o L.N.P. Dall’isola di Brioni si esportava poi la preziosa porpora, che qui venne prodotta per secoli.

Presso gli scali e i maggiori centri produttivi e urbani esisteva anche lungo la costa istriana-dalmata un sistema di grandi ville - aziende, proprietà spesso di membri tra loro imparentati di una medesima gens, legati alla vita politica e forse in parte interessati anche agli scambi commerciali per via marittima Il caso dei Calpurnii è ben documentato. Una Calpurnia, figlia del console dell’anno 1 a. C. e nipote del console del 7 a. C., pose una dedica alla Bona dea nell’isola di Pag, a Cissa. Altri Calpurnii sono ben noti ad Aquileia (6, tra questi è citato in una tessera lo zio della Calpurnia di Cissa), Trieste (1), Parenzo (2), Corinium (11) fino a Salona (8). Forse allo stesso ramo dei Calpurnii Pisones apparteneva il governatore della Transpadana nella prima età augustea. Certo alcuni di loro, se non tutti, furono legati da parentela con quel L. Calpurnius Piso che dal 43 al 46 d. C. fu legatus Augusti pro praetore della provincia Dalmazia, i quale quindi era personaggio rappresentativo della élite locale e ben inserito nel tessuto economico e produttivo.

Il ruolo dei personaggi appartenenti, anche per vincoli di patronato, a una medesima gens è spesso stato enfatizzato. Pa presenza del medesimo gentilizio ha fatto supporre legami che forse in realtà potevano essere inesistenti. In ogni caso merita di essere ricordata la suggestiva ipotesi che la gens dei Caesernii, di origine etrusca, trasferitasi come altre dal Centroitalia ad Aquileia verso la fine della Repubblica, abbia avuto come base economica la cura della produzione metallurgica e della distribuzione dei prodotti, come i contemporanei Dindii venuti da Praeneste dopo le stragi sillane. Nel caso poi della gens dei Caetenni è stata supposta un’attività agricola, ma soprattutto la gestione di una società di trasporti marittimi connessa strettamente colla sfera finanziaria e bancaria, che avrebbe avuto la sede principale a Salona, nella metropoli della Dalmazia ove confluivano i prodotti del retroterra destinati a diverse capitali mediterranee. Tra questi ricordiamo che Plinio il Vecchio scrive come Brettia (= isola di Brac) fosse nota per le capre (come l’isola di Capodistria che da esse trasse il nome greco) e ricorda che nell’area dalmato-istriana si producevano parecchi tipi di formaggi molto apprezzati anche a Roma, come quello di Doclea, dalla zona montenegrina. Tra i prodotti che la costa orientale poteva offrire allo sviluppo urbano delle città altoadriatiche era la pietra di Brazza (dall’omonima isola) e la famosa pietra d’Istria, coltivata in varie cave della costa istriana, da Albona a Orsera, e in uso ancora per tutto il periodo veneziano.

In età augustea la costa dalmata si riforniva anche nella regione veneta, come dimostrano i prodotti con il marchio LEVCVS, forse altinati, presenti a Spalato e le coppe firmate CLEMENS, vasaio attivo forse presso Montegrotto Terme [PD] (altri ritengono che la sua officina fosse collocata nella stessa Aquileia), trovate in due necropoli a nord di Sebenico; dall’area Cremonese giungevano poi i prodotti firmati BVCCIO NORBANI. É di grande interesse il fatto che alcuni frammenti con il nome di questo fabbricante siano stati rinvenuti nel carico di una nave affondata presso Ordona, che si ritiene provenisse dall’alto Adriatico e dalla zone di Brindisi fosse diretta, prima di affondare, verso le coste orientali adriatiche, completando quindi il giro di tutte le coste. Anche per il nome Buccio si è supposta un’origine illirica. Se questo è vero, si potrebbe supporre che alcuni dei traffici commerciali con la costa dalmata siano stati favoriti dalla presenza di persone di là originarie che si erano trasferite in Italia, ove esercitavano una qualche attività imprenditoriale.

Lo studio sistematico dei marchi laterizi (posti dai fabbricanti sui tegoloni che servivano per la copertura degli edifici) è ripreso ora da parte istriana dopo una interruzione di molti decenni, mentre nell’area dalmatina l’indagine in questo campo, che era stato ben avviata tra le due guerre, è stata poi abbandonata. Alcuni casi sono molto indicativi e della espansione commerciale dei prodotti delle figuline - intese da molti quasi in senso "protoindustriale" - e delle rotte adriatiche. Ad es. il caso della figulina Pansiana, che si ritiene abbia tratto il suo nome dal primo proprietario, quel C. Vibius Pansa che appartenne all’entourage di Cesare. Divenuta proprietà imperiale sotto Augusto rimase in funzione fino al tempo di Vespasiano. La distribuzione inizialmente limitata al triangolo compreso tra il Delta del Po e la costa istriana, fino a Trieste si estese specialmente sotto Tiberio fino a comprendere gran parte dell’entroterra veneto e, a sud, le Marche e tutta la costa dalmata e quella ora albanese, per poi ridursi - evidentemente contrastata da altre officine private più aggressive sul piano commerciale - da Caligola in poi. Anche qui si possono indicare non solo rotte preferenziali, ma direttrici esclusive come quella Rimini-Zara, rappresentata dalla diffusione del marchio QCP Pansiana. Una sorta di spartizione del mercato, o più probabilmente una dipendenza dei laterizi trasportati dalle rotte battute da particolari armatori, indica invece il caso del marchio Q. Clodi Ambrosi, oggetto di più studi, che è il marchio più frequente in tutta la costa adriatica. Prodotto con molta probabilità nella zona costiera dell’Aquileiese, esso si trova in numerosi esemplari specialmente nella costa orientale, a Pola, Zara, Salona e Lissus e, frontalmente, presso Rimini e nel Piceno settentrionale. Per quanto riguarda la diffusione dei laterizi in genere lungo la costa orientale dell’Adriatico possiamo ipotizzare che essa abbia toccato l’acme in relazione ai lavori di costruzione, ampliamento e manutenzione delle ville rustiche costiere e specialmente delle grandi edificazioni urbane di età flavia. Proprio la carta di distribuzione dei vari prodotti ha permesso di riconoscere alcune rotte che attraversavano a zig-zag l’Adriatico. Tale la rotta Aquileia-Pola-Rimini-Piceno cui si accompagnava probabilmente la rotta Aquileia-Rimini-Zara. Bisogna ricordare che fino ad epoca moderna i percorsi fluviali e le vie d’acqua, prevalentemente costiere, si alternavano ai percorsi terrestri. Così il patriarca di Aquileia quando doveva recarsi a Roma si imbarcava ad Aquileia e sbarcava a Cavanella di Loreo (ove sono state scavate pochi anni fa importanti strutture portuali e produttive di epoca romana) per proseguire poi verso Roma e molti ricorderanno la fuga del giovane Goldoni, da lui pittorescamente descritta, per barca da Rimini verso Venezia.

Dall’epoca flavia alla fine del periodo medioimperiale

Un importante fossile-guida sono i preziosi oggetti lavorati nell’ambra, che ebbero la loro massima diffusione dal periodo flavio alla metà circa del II sec. d. C. Essi venivano via mare da Aquileia e anche direttamente lungo le strade dell’interno da alcuni centri della via dell’ambra, come ad es. da Poetovio, posta sul percorso diretto a Emona (oggi Lubiana). Quelli che conosciamo derivano dalle ricche sepolture femminili e per forza di cose sono legati in larga misura al mundus muliebris. E’ per noi molto suggestivo ricordare che da Aenona proviene una barchetta, intagliata nell’ambra, entro cui un rematore trasporta un carico di vino, simbolizzato da due anfore.

La particolare conformazione dell’Adriatico, quasi un’insenatura protesa verso l’Egitto e tale da sfiorare la penisola greca, fece sì che la costa orientale fosse percorsa anche da uomini e merci che venivano dall’Egeo e dall’Asia minore. Fin dalla seconda metà del I sec. d. C. lungo la costa dalmata si diffuse la terra sigillata orientale, che arrivava fino a Trieste e poi penetrava anche all’interno del Friuli, nei periodi successivi.

Tra gli oggetti di lusso che le navi trasportavano vi erano certo i profumi e i balsami che venivano dall’Oriente, spesso in boccette (=balsamari) di foggia particolare e di colore diverso - come quelli egiziani caratterizzato dal vetro verde intenso - o quelli che giungevano da Cipro e dalla Siria. I profumi, e i relativi contenitori, arrivano dall’Oriente fino a tutto il IV sec. La maggior corrente di traffico dei prodotti contenuti entro recipienti di vetro giungeva certamente da Aquileia, dalla metà del I sec. d. C. A partire dai primi decenni del II sec. d. C. ad essa si aggiunsero prodotti in quantità minore provenienti dalla Gallia occidentale (come i medicamenti e le specialità oculistiche contenuti nei caratteristici mercuriali a sezione quadrata) e altri che, dall’avanzato III sec. d. C. provenivano dall’area renana.

Per quanto riguarda i prodotti deperibili, specialmente le derrate alimentari, i loro contenitori ci permettono di ricavare interessanti considerazioni e in riferimento alle aree di provenienza e alle rotte commerciali. Abbiamo sopra ricordato come il vino viaggiasse già nel II e nel I sec. a. C. dalla Puglia e dal Piceno verso il nord, mentre in senso inverso veniva trasportato il vino dell’Italia nordorientale, che tra l’altro piaceva tanto a Livia. madre di Augusto. In effetti è documentata, benché molto più tardi, dalla fine del I sec. d. C. l’esistenza di un corpus naviculariorum maris Hadriatici che aveva sede a Ostia di cui faceva parte anche L. Scribonius Ianuarius che era negotians vinarius. L’olio istriano nel I sec. d. C. entro nelle anfore Dressel 6 B scendeva dalla penisola dell’Istria fino alle coste adriatiche meridionali. Sono noti alcuni marchi a larghissima diffusione come quello dei Laekanii. Vino o olio era contenuto nelle anfore del tipo Dressel 2-4 che avevano il nome di Calvia Crispinilla . Costei, nota come magistra libidinum di Nerone, aveva grandi proprietà in Istria settentrionale, in Africa e probabilmente in Apulia e forse liberti nella stessa Roma. L’olio spagnolo della Betica risaliva l’Adriatico entro le Dressel 20. Un notevole numero è stato trovato nel mare di Spalato, probabilmente utilizzate in lavori di bonifica. Dai bolli presenti si ricava che raggiunsero al costa dalmata nel perodo flavio-traianeo. Anfore dello stesso tipo ma con forma databile al III sec. sono state trovate anche all’interno dei Balcani (Sirmium) e lungo la costa istriana (es. davanti a Fasana). E’ stato supposto che la rotta seguita da questi trasporti provenienti dalla Spagna risalisse l’Adriatico seguendo la costa italiana fino ad Aternum (Pescara) per poi attraversare il mare fino a Salona. Solo eventuali ulteriori pubblicazioni di nuovi rinvenimenti potranno confermare o meno questa ipotesi.

I commerci nel periodo tardo antico

Alcuni frammenti dell’Edictum de pretiis consentono di conoscere i noli (= prezzi massimi) di alcuni prodotti, forse granaglie o comunque aridi, trasportati dall’Oriente e da Alessandria ad Aquileia. Dallo stesso documento ufficiale conosciamo anche una tariffa, molto alta, da Ravenna ad Aquileia. Essa probabilmente riguardava i trasporti che avvenivano per via endolagunare e che quindi richiedevano il traino di barconi, lungo i canali, anche con animali.

Nel IV secolo toccano in genere una delle punte più alte i trasporti del vino e dell’olio africano, stivati in capaci anfore, cui si accompagnavano le ceramiche prodotte nell’attuale Tunisia settentrionale e centrale. Possiamo solo in parte immaginare l’enorme quantità di vino e olio che arrivavano da Cartagine e dagli altri porti della costa ora tunisina dall’analisi della merce di accompagno, ovvero della sigillata africana.

Dalla fine del IV sec. ebbero nuova importanza anche gli stanziamenti militari e dell’interno e costieri, che in qualche caso sono rivelati solo da alcuni elementi della divisa, come quelli lavorati a "Kerbschnitt" (che i tedeschi definiscono tout court "Soldantenkunst"). Così possiamo stabilire qualche collegamento, oltre che dalla documentazione epigrafica, appunto dallo studio dei piccoli rinvenimenti ("Kleinfunde") che dimostrano come a Salona esistesse un contingente militare certo collegato con il comando di Aquileia, forse con un distaccamento a Capodistria, come rivela appunto la dislocazione delle decorazioni dei cinturoni militari. La Notitia dignitatum (sorta di annuario ufficiale dell’esercito romano dell’inizio del V sec.) rivela la presenza di un praefectus classis Venetum ad Aquileia, che si affiancava alla flotta esistente a Ravenna.

Forse per gli stessi contingenti, specialmente nell’avanzato IV sec. in poi , altre consistenti importazioni vinarie venivano dalla Palestina (in particolare dalla zona di Gaza) e dall’Asia Minore. Da qui proveniva vino di grande qualità contenuto in piccole anfore del tipo Mid Roman 3 (della capacità di uno o due litri) spesso deposte nelle tombe come offerta ai soldati defunti.

Alla fine del mondo antico. I commerci adriatici nel VI sec. d. C. e dopo

I rifornimenti, specialmente di vino, diretti nel corso del VI sec. agli stanziamenti militari bizantini dell’Abruzzo e dell’area costiera dell’alto Adriatico giungevano dall’Egitto e dall’Egeo, da cui proveniva il pregiato vino di Samo, che viaggiava entro anfore di tipo particolare. Dalla Lusitania (odierno Portogallo) pervenivano nel IV e nel V sec. delle caratteristiche anfore che si ritiene contenessero garum, una salsa composta con vari pesci, molto apprezzata in tutta l’antichità.

Nel periodo bizantino i collegamento dall’Oriente con la costa italiana erano molto intensi, specialmente verso la Pentapoli e l’Esarcato. Esisteva anche uno strettissimo collegamento Ravenna- Parenzo (lo dimostra tra l’altro l’architettura del locale complesso paleocristiano) accanto alla tratta Ravenna - Pola, ad es. al tempo in cui Massimiano di Pola fu episcopo ravennate. In quell’epoca erano stanziati presso la costa abruzzese consistenti nuclei di popolazione di origine egiziana, come rivelano i rinvenimenti di Crecchio. Essi (forse contingenti militari?) erano probabilmente opposti a fronteggiare il pericolo di espansione longobarda. Forse la presenza di questi nuclei aiuta a spiegare le sporadiche attestazioni di anfore egiziane rinvenute fino alla sommità dell’Adriatico.

Dal IV sec. fino a tutto l’alto Medioevo viaggiavano lungo le rotte adriatiche anche i pellegrini diretti in Terrasanta e specialmente quelli diretti al santuario alessandrino del martire San Mena, spesso raffigurato sulle ampolle in terracotta o in argento (che contenevano acqua benedetta) accanto a un cammello. I ricordi del pellegrinaggio, portati nel viaggio di ritorno, si sono conservati numerosi lungo le coste adriatiche e talora anche nei tesori delle chiese. Nella gran parte si datano al periodo precedente l’espansione araba.

I traffici nell’Adriatico furono fortemente condizionati dalle vicende legate al mondo bizantino. Si intensificarono in relazione alla presenza bizantina nell’Esarcato e specialmente in occasoen delle guerre gotiche (prima metà VI sec. d. C.), mentre dalla metà del VII sec. ci vien meno un prezioso indicatore cronologico, ovvero la ceramica tunisina tarda. Già con l’invasione dei Vandali, nella prima metà del V sec. d. C. le esportazioni di olio e vino tunisino si erano in parte ridotte. Tuttavia ancora nel VI sec. il flusso di prodotti africani verso la Dalmazia era notevole. Lo dimostrano ad es. le anfore dette "bizantine" del tipo Dressel 32 assai comuni in Dalmazia e trovate tra l’altro nelle mura di Salona, ove forse vennero utilizzate nel corso delle riparazioni urgenti effettuate nel 534 - 535 durante la guerra contro i Goti. Le stesse mura vennero costruite, come quelle di Aquileia, al tempo di Teodosio II, ovvero nella priam metà del V sec.

Probabilmente la riconquista bizantina della Tunisia avvenuta nel 533 non riuscì a ripristinare l’ampiezza dei commerci dei secoli precedenti, per quanto i Bizantini avessero installato torchi persino entro i tempi romani e nel bel mezzo dei percorsi stradali, come a Sufetula (= Sbeitla). Numerosi torchi sono stati rinvenuti anche presso la costa istriana e dalmata, a Salona, Brioni etc. Uno venne ricavato entro le terme urbane di Nesazio, un altro fu ricavato entro la basilica paleocristiana di Orsera, ove sono stati trovati resti carbonizzati di noccioli di olive. Quest’ultimo è stato datato al VI-VII sec., e sembra plausibile in un momento in cui i rifornimenti africani scarseggiavano e le rotte adriatiche erano poco praticate.

La caduta dell’attuale Tunisia sotto i Musulmani, nel 647, secondo le note tesi dello storico Pirenne, avrebbe forse per molto tempo fermato una circolazione di merci e di persone che per millenni era rimasta vivacissima.