IL DRENAGGIO DI CODROIPO E LA CULTURA MATERIALE NELL’AGRO DI AQUILEIA NELL’ULTIMO DECENNIO DEL I SEC. A. C.  
Maurizio Buora

Nell’ultimo decennio del I sec. a. C., periodo in cui fu fabbricata la quasi totalità degli oggetti rinvenuti nel drenaggio di Piazza Marconi a Codroipo, dopo l’occupazione romana del Norico avvenuta nel 15 a. C., una gran quantità di merci raggiungeva dall’Italia, specialmente settentrionale, il centro emporiale e amministrativo posto, non lontano dall’attuale Klagenfurt, sul Magdalensberg, l’antica Virunum. Come in precedenza, anche allora i carichi di vettovaglie e forse anche qualche mercante seguivano i corpi di truppa nei loro spostamenti, lungo questa stessa direttrice e ben più a nord, come è stato documentato archeologicamente per i reparti di stanza a Devin, presso Bratislava, agli ordini di Tiberio nel 6 d. C. (1). Le merci viaggiavano per più strade, che si riducevano sostanzialmente a due nell’attuale Friuli. Una proveniva da Iulia Concordia (e fu regolarizzata nel 2 a. C.) e la seconda proveniva da Aquileia. Altri itinerari, che partivano da Forum Iulii (Cividale), sembrano essere stati diretti specialmente verso l’alta e media valle dell’Isonzo.

La prima strada, da Iulia Concordia, era già stata percorsa verso nord nei decenni precedenti, come dimostrano le anfore con il bollo ARCHELA e quella col bollo COPONI nella villa di Turrida di Sedegliano e le nostre coppe biansate a pareti sottili provenienti dall’ager Cosanus. Probabilmente lungo di essa viaggiavano, dalla metà del I sec. a. C., alcune merci dirette al centro alpino di Gurina e a quello di Iulium Carnicum.

Recenti studi degli archeologi sloveni hanno portato a comprendere meglio come negli ultimi decenni del I sec. a. C., specialmente dopo le guerre illiriche condotte da Ottaviano nel 35 a. C. e ancora di più dopo la totale conquista dell’arco alpino da parte di Augusto, che si conclude nel 15 a. C., Aquileia fosse interessata a diffondere i propri prodotti verso i territori dell’attuale Slovenia. Alla fine del I sec. a. C. vediamo vari prodotti raggiungere Emona, ma anche più a est la città di Siscia, ora Siøak in Croazia. Essa, che nel 31 a. C. era sotto il controllo del senato romano, divenne nel 12 o 11 a. C. imperatoria (KOØŒEVIÅ 1995, p. 1) e ciò significò un notevole impulso allo sviluppo delle esportazioni verso quel centro. Una parte delle merci colà dirette potevano passare via mare da un porto del Quarnero oppure transitare per Trieste. Le merci che venivano da Aquileia sono documentate archeologicamente, in questo medesimo periodo, nel centro di Nauportus, sede di un corpo militare romano (2), quindi a Emona (3), infine nel territorio dei Latobici, come dimostrano gli scavi nella necropoli di Beletov vrt di Novo Mesto, che accanto ai prodotti locali mostrano, sempre nell’ultimo decennio del I sec. a. C. merci di importazione dall’Italia (4).

Tutto ciò spiega come il flusso delle merci da Aquileia verso Codroipo, ovvero verso la parte nordoccidentale del suo agro, fosse piuttosto ridotto. Nel medio Friuli, a ridosso del corso del Tagliamento, si riunivano dunque le strade che portavano verso Nord, in particolare verso il promettente mercato del Norico ben rappresentato dal centro del Magdalensberg. In questa zona, al limite tra l’agro di Concordia e quello di Aquileia si unificavano le correnti di traffico che giungevano dall’Etruria, dalla parte centrale della piamura padana, dal Veneto, dalla costa medioadriatica. Prima che la nuova destinazione risultasse chiara, quindi prima del 15 a. C., si trattava di una normale espansione del mercato di alcuni prodotti; invece dopo quella data si trattò, probabilmente, di un flusso consapevole e consapevolmente incanalato. Ovviamente una parte dei prodotti, forse minima, venivano qui smerciati. Avveniva certo anche il fenomeno contrario: i trasportatori scaricavano qui parte delle merci che importavano, nei viaggi di ritorno, dai territori d’Oltralpe e quindi avevano interesse a caricare altri prodotti locali - che potremmo definire in termini molto ampi come "aquileiesi" - che erano trasportati verso la parte centrale della pianura padana. Si spiega così l’espansione verso occidente di alcune classi di materiale, come le anfore - esportate verso Milano e la Lombardia fin dai tempi delle ultime Lamboglia 2 - e alcune merci di accompagno come le sigillate nordorientali (es. SOLIMARI).

Nel drenaggio di Codroipo non vi è alcun oggetto la cui comparsa non sia databile dopo l’inizio del I sec. d. C., per cui è facile concludere che si tratta di oggetti trasportati qui prima che fosse sistemata, al tempo di Augusto, la strada che da Iulia Concordia portava al Norico, sistemazione che i miliari fanno datare al 2 a. C. Naturalmente è molto verosimile che al posto di questa e di altre strade romane che accompagnavano il corso dei vari rami del Tagliamento e li attraversavano esistessero piste protostoriche che furono semplicemente rettificate e sistemate. Lungo queste piste potrebbero essere arrivate le merci di cui ci occupiamo, oppure da Sud, dallo scalo posto alla foce del fiume Stella che in alcune occasioni, forse anche nel periodo antico, fu uno scalo collegato ai principali rami del Tagliamento. È anche possibile che la maggior quantità di esse sia giunta qui da Oderzo lungo quel tracciato stradale che poco dopo la metà del I sec. a. C., costituì il decumano della centuriazione concordiese e che siamo propensi a ritenere coincidente con il percorso della via Postumia, rettificato verso la metà del II sec. a. C.

Una prova in tal senso viene dalle frequenti somiglianze tra il materiale concordiese e quello rinvenuto in alcuni siti dell’agro concordiese non lontano dallo stesso tracciato. Ci si riferisce qui alle così dette Sariustassen di Gheno e di S. Vito al Tagliamento, località che hanno in comune con Codroipo anche altre classi di materiali, dai bicchieri a pareti sottili con decorazione a spine a rilievo, alle coppette in t.s. a quarto di cerchio, a un marchio su vasi con orlo a mandorla, alle anfore del tipo Dressel 28, materiali tutti databili nel medesimo periodo ovvero agli ultimi anni del I sec. a. C.

Il tipo di contesto

Il significato del nostro contesto deve essere opportunamente valutato, affinché non ricaviamo da esso indicazioni errate. Non si tratta, almeno in base a quanto è dato attualmente di sapere, di una discarica domestica né di un’ampia bonifica. È probabile che il drenaggio interessi anche altre aree limitrofe, a Nord e a Sud, ma non si è potuto eseguire alcun controllo archeologico. Pertanto il fatto che manchino alcune classi di materiali può avere e un valore cronologico e un significato funzionale. Sembra avere valore cronologico l’evidente assenza di tutta quella ceramica di tradizione protostorica che a Sevegliano troviamo presente fino all’inizio del I sec. a. C., ovvero le olle con orlo alto o con marchi "opitergini", insieme con le forme della ceramica tardorepubblicana, l’abbondanza di vernice nera, le lucerne del tipo Esquilino. Mancano anche le forme della ceramica comune del II e I sec. a. C. che risultano così abbondanti a Sevegliano. Può dipendere, invece, dal tipo di deposito l’assenza dei mortai, sia di grandi dimensioni in terracotta comune, e la scarsità dei vasi a vernice rossa interna, i così detti "piatti per pizza". La relativa abbondanza di ciotole in pasta grigia, per quanto ridotte in minuti frammenti e quindi allo stato puramente residuale, denota il notevole influsso della vicina cultura venetica, anche sul piano alimentare, in corso di trasformazione secondo le abitudini del costume romano. Mancano poi del tutto gli oggetti in metallo e scarsissimi sono quelli in osso. Del tutto assente è anche il vetro e questo pare rivestire un’importanza molto grande per comprendere la reale diffusione dei materiali vitrei in quell’epoca. Rispetto ai recipienti posti nelle tombe, la cronologia dei materiali è generalmente vicina nel tempo, salvo alcuni oggetti che paiono essere rimasti nell’uso per qualche decennio.

Luoghi di provenienza dei prodotti

I tipi di impasto, i marchi e in genere le classi di materiale, ove queste siano significative e non capillarmente diffuse, permettono di individuare alcune aree di origine delle varie merci.

Dal punto di vista delle aree di origine, possiamo indicare l’Etruria, in special modo Cosa, per la provenienza di alcune coppie biansate tardorepubblicane e le fornaci di Arezzo per alcuni prodotti in terra sigillata, con o senza marchio. Uno di questi, con il bollo AteiVs, poté forse provenire dalla succursale di Pisa, a giudicare dalla forma del bollo.

Dalla zona del Delta del Po e in particolare da Adria venivano altre stoviglie in terra sigillata, come quella con la firma FVSCVS.

Dalla pianura padana centrale, forse da Cremona, provenivano alcuni dei bicchieri a pareti sottili, che in parte potevano peraltro forse essere anche di produzione aquileiese o comunque "locale".

Dall’area di Bologna venivano poi almeno alcune delle coppe di tipo Sarius, mentre non è escluso che altre provenissero dalla zona di Altino o dal Padovano. Forse in futuro nuovi rinvenimenti o ricerche mirate potranno individuare anche eventuali componenti aquileiesi di questa produzione.

I rapporti con il Magdalensberg sono rivelati anche dalla presenza a Codroipo di un frammento di Graphittonkeramik. Ma molto significativa a questo proposito è la presenza di un flusso commerciale di importazioni dall’area alpina e transalpina lungo la strada aperta forse proprio nel 15 a. C. che metteva in comunicazione con Veldidena e poi la Rezia. Per questa scendevano attraverso Iulium Carnicum i prodotti alimentari contenuti nei tipici barattoli di tipo Auerberg, barattoli che erano imitati - e che quindi avevano un equivalente contenuto - anche lungo la costa altoadriatica. Piacerebbe pensare che qui fossero contenute le famose "mele Matiane", prodotte anche nelle Alpi verso Aquileia (così Athenod., Deipnos., III, VIII, 4, 5) e trasportate, nelle qualità più pregiate, anche via mare all’inizio del IV sec. d. C., come attesta l’Editto di Diocleziano. Esse sembrano essere state prodotte in tutta l’Europa romana, come dimostra la persistenza del nome nelle attuali lingue spagnola e portoghese. Columella ci tramanda alcune ricette per conservare le mele cotogne. Che queste fossero conosciute ad Aquileia nel I sec. d. C. è confermato dalla loro riproduzione in soprammobili di ambra. Dice dunque Columella (XII, 47, 2) che dopo averle colte molto mature, sereno caelo decrescente luna, si debbono porre a strati in un recipiente nuovo (lagona nova) con orlo molto ampio e poi occorre riempire il recipiente con miele ottimo e molto liquido. In tal modo si crea anche un liquore simile a quello del vino condito con miele (haec ratio non solum ipsa mala custodit, sed etiam liquorem mulsi saporis praebet) che può servire anche come medicina a chi ha la febbre. Va ricordato che nelle ricette per conservare gli alimenti o le erbe alimentari Columella ricorda sempre di chiudere il vaso con una pelle (pelliculare). Ciò si addice in maniera particolare ai nostri recipienti, che sono sempre stati trovati privi di coperchi. Di norma il termine lagoena o lagona o laguna si applica oggi a bottiglie monoansate di forma ben diversa (cfr. ANNECCHINO 1977), entro cui non sarebbe affatto possibile introdurre mele cotogne. Ovviamente il tipo di recipienti usato per queste conserve poteva variare, ma secondo le leggi commerciali il contenitore tendeva a identificarsi con il contenuto. Per questo si sarebbe potuto ammettere un’imitazione da parte della parte pianeggiante dell’Italia settentrionale (vedi in questo volume l’articolo del Flügel). Altra cosa che poteva essere ugualmente presente nella zona alpina e in quella costiera era il sale, rispettivamente fossile e marino. Tuttavia non pare che l’area del Magdalensberg, che pure produceva vasi del tipo Auerberg in grande quantità, avesse a disposizione giacimenti di salgemma. Secondo lo stesso Columella (VI, 17,7 e 31,1), il sale fossile, impiegato a Roma, che era usato specialmente per finalità medicinali, veniva dal deserto della Libia o dalle montagne della Spagna.

Qualunque cosa contenessero i nostri barattoli, è certo che nella zona di Codroipo, a quanto è finora dato di sapere, si incontrava ancora nella media età augustea il flusso delle importazioni dall’area retica e quello delle imitazioni aquileiesi o venete, prodotte nelle fornaci delle principali città costiere.

Infine dall’area propriamente aquileiese è probabile venisse la maggior quantità di oggetti non pregiati e pertanto privi di marchio. Se questo si può ipotizzare per alcune delle numerose anfore, o dei vasi in ceramica comune e grezza, appare ancora più plausibile per alcune delle lucerne rinvenute, come ad es. quella del tipo cilindrico o la Tiegellampe III - particolarmente apprezzata nel territorio di Aquileia in età augustea, o anche alcune a volute. Un’origine aquileiese appare, allo stato della conoscenza, quasi sicura per quanto riguarda la sigillata con il marchio LVCRIONIS.

Alcune considerazioni sui flussi commerciali

La presenza di terra sigillata da Arezzo, che ancora nel penultimo decennio del I sec. a. C. era preponderante sul Magdalensberg, risulta qui ridotta. Su 18 patere in T.S. 3 o forse 4 sono di produzione aretina pari a una percentuale compresa tra il 16 e il 22 %. La maggior parte della terra sigillata è dunque di produzione padana e spesso non di qualità eccelsa, come dimostra la vernice facilmente scrostabile. Una patera (II.1) è di dimensioni enormi: un esempio simile si ha ad es. da Cattolica, un altro si trova sul Magdalensberg, ove è presente nelle vetrine dell’esposizione estiva. Evidentemente esisteva la moda di porre nelle abitazioni una sorta di fruttiera o di centro tavola in terra sigillata, prassi che sembra ereditata dalla vernice nera, di cui si ricorda analogo esemplare gigante da Aquileia, esposto nel locale museo archeologico.

La coppetta di forma Conspectus 14 (III.1) con il marchio SOLI/MARI presenta vari motivi di interesse. Sopra abbiamo messo in evidenza il nome di tipo celtico e quindi la probabile provenienza transalpina del fabbricante, che riteniamo attivo ad Aquileia o negli immediati dintorni. Sono ancora poche le tracce di una produzione aquileiese della terra sigillata, ma lo studio dei marchi ne rivela qualche indizio. Sembra riferisi a una produzione aquileiese nello stesso periodo il marchio IOSI che finora è noto solo dalla necropoli di Beletov vrt (KNEZ 1992, p. 80 e tav. 55) e da Aquileia. Forse la stessa origine potrebbe aggiungere, a riprova, il marchio AIO che compare in un marchio quadrangolare in una coppetta di forma identica alla nostra firmata SOLI/MARI, da Beletov vrt (KNEZ 1992, p. 80 e tav. 40). Il cognome Aio (a parte un unicum Aioia, in Dalmazia, non esistono altri cognomi con le medesime iniziali) risulta attestato in pochissime epigrafi, di cui tre si trovano in Spagna, una nella Belgica e rispettivamente una nel Norico e una in Pannonia (Onomasticon ..., s.v.).

Un altro fabbricante di coppette, che firma con il suo nome LVcrionis al genitivo, sembra essere stato attivo nell’ambito aquileiese, a giudicare dall’area di diffusione dei suoi prodotti.

Fin dal 1959 il Øaøel ha dimostrato che il nome Buccio indica schiavi provenienti dalle Alpi orientali. Uno di questi era servo di un Norbanus e come tale firmò numerosi prodotti ceramici, ovvero il vasellame del tipo cosiddetto Aco, realizzato nell’officina di Cremona nel periodo tardorepubblicano e protoaugusteo. Troviamo prodotti con la sua firma ad Adria, Aquileia, sul Magdalensberg, a Ravenna, forse a Milano, a Brindisi e Ordona, ma anche in Croazia a Jezerine (LAVIZZARI PEDRAZZINI 1987). Del resto è già stata messa in evidenza in questo stesso vasellame di tipo Aco la derivazione da forme celtiche.

In conclusione possiamo rilevare che nella prima generazione dei produttori di terra sigillata norditalica, attivi in varie parti della pianura padana nell’ultimo quarto del I sec. a. C. e specialmente dopo il 15 a. C., erano presenti, sia nella fabbricazione dei vasi tipo Aco che delle forme più semplici di coppette e di patere, schiavi o liberti di origine celtica che forse avevano imparato l’arte nei loro territori di origine.

Tra i materiali più comuni in terra sigillata possiamo includere le coppette con parete a quarto di cerchio, fabbricate in uno o più centri non ancora identificati, ma probabilmente provenienti dall’Italia nordorientale.

Va rilevata ancora una volta la grande diffusione delle coppe di tipo Sarius con decorazione a rilievo. Abbiamo cercato di precisare meglio, rispetto a quanto è normalmente tradito nella letteratura specialistica, la circolazione delle due forme con barretta o con foglia di vite sulle anse e la possibilità, ancora tuttavia non del tutto chiara, di disegnare aree di distribuzione di prodotti di singole officine, aree che, per forza di cose, tendono a sovrapporsi anche per una certa, ipotizzabile, migrazione di gusti e motivi decorativi e forse di punzoni. Emerge con chiarezza una provenienza di molti esemplari dalla zona padana, o bolognese o delle foci del Po.

Per quanto riguarda altre classi di materiali, poco si può dire per i bicchieri e gli altri recipienti a pareti sottili.

Una situazione molto complessa e di grande interesse è rivelata dai vasi del così detto tipo Auerberg, qui puntualmente illustrati nel contributo del Flügel. Risulta che la zona di Codroipo, ove si intrecciavano più strade, era il punto di arrivo di questi vasi che arrivavano qui dal Magdalensberg (frammento rinvenuto in fondo a via Monte Canin [CIVIDINI 1996, p. 26]) e soprattutto dalla Rezia, precisamente dalla zona di Vipiteno. Va ricordato che esisteva un legame diretto tra la Carnia e la zona dell’Alto Adige, favorito dalla costruzione della strada augustea per compendium, che da Zuglio raggiungeva Aguntum e, lungo la Drava e la val Pusteria, raggiungeva la località di Vipitenum. Dai rinvenimenti di Codroipo apprendiamo che lungo questa direttrice prima ancora della costruzione della strada scendevano fin nel medio Friuli prodotti altoatesini. Ma circolavano in abbondanza anche i prodotti, simili, delle fornaci locali, tra cui quello forse del medio Friuli con il marchio TAPVRI.

Infine va osservato che la distribuzione dei marchi anforacei conferma il traffico di merci dalla parte centrale della pianura padana diretto verso il Magdalensberg, nella piena età augustea, e il movimento di ritorno di merci dirette dall’Italia nordorientale (agro di Aquileia) verso la parte centrale e anche occidentale dela stessa pianura. Ne sono prova le coppette con il marchio SOLI/MARI e quella con il marchio LVCRIONIS.

Un quadro più completo si potrà avere quando sarà completato il riesame del materiale di S. Vito al Tagliamento e di Sesto al Reghena, nella parte immediatamente a Ovest del corso attuale del Tagliamento.